Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

memoria

 

"BRUNO, IO VORREI CHE TU NANA' ED IO..." CARUSO, SCIASCIA E GUTTUSO A ROMA* di Giovanni Taglialavoro

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“Così andavano le cose in quel tempo spensierato: comunque nessuno si divertì mai tanto di fronte a queste situazioni, come se fosse a teatro, come il buon Leonardo che pure di Guttuso era molto amico.”
BRUNO CARUSO
 
Porta in mano una guantera di dolcetti. Ha l’aria assorta, si ferma davanti alle vetrine di un antiquario con la sigaretta tra le labbra stirate ad un sorriso contenuto.
 

LETTERE PATENTI di Vincenzo Campo

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Il 17 febbraio del 1848 Carlo Alberto, Re di Sardegna, di Cipro e Gerusalemme, Duca di Savoia e di Genova, Principe di Piemonte e, per quello che ci riguarda direttamente, re di quello che era l’embrione del Regno d’Italia, promulgò le “Lettere patenti”: un editto col quale poneva fine a una lunghissima persecuzione nei confronti dei Valdesi; infatti li ammetteva “a godere di tutti i diritti civili e politici de' [suoi] sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici”; pur lasciando immutate le limitazioni “quanto all'esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”, dal punto di vista politico, li riconosceva come suoi sudditi. I valdesi si chiamano così, per chi non lo sapesse, perché seguaci di Pietro Valdo, un mercante lionese che a cavallo del XII e del XIII secolo, come avrebbe fatto qualche tempo dopo Francesco d’Assisi, si spoglio dei suoi beni e cominciò a predicare la Parola di Dio; non pensava affatto di porsi fuori dalla Chiesa di Roma, ma di contribuire al suo rinnovamento riproponendo l’esempio degli apostoli. Ma non fu così: fu scomunicato e insieme ai suoi seguaci, i “Poveri di Lione”, fu oggetto di persecuzioni e repressioni che durarono ininterrottamente fino a quel 17 febbraio 1848. Fu un atto importante, per i Valdesi che videro finalmente cessare le persecuzioni nei loro confronti e ancora oggi questa data, il 17 febbraio, è festa; festa che essi chiamano “delle libertà”.
 

SUL TAGLIO DEGLI EUCALIPTI DI BONAMORONE di Gaetano Gucciardo

<small>Disegno di Andrea Carisi <a href="http://www.suddovest.it/cms/?q=node/251">(Fuorivista)</a></small>
Disegno di Andrea Carisi (Fuorivista)
Non si può negare che il taglio degli eucalipti ha leso un paesaggio consolidato nella memoria dei cittadini e, dunque, può avere offeso. Tuttavia, come è risaputo, gli eucalipti costituiscono una specie esotica che, all’occhio sapiente, appare stridere col patrimonio colturale tipico della Valle dei Templi. Si legge nelle Norme tecniche di attuazione del Piano: ''La campagna che nel tempo si è insediata sul sito dell'antica Akragas costituisce il principale tratto dei valori paesaggistici della Valle dei Templi di Agrigento. Una consolidata definizione letteraria la indica come ''Bosco di Mandorli'', od anche, più correttamente, ''Bosco di Mandorli e Olivi'', dato che si tratta di un paesaggio policolturale nel quale si ha una grossa incidenza anche dell’olivo. Il suo stretto legame con l’insediamento archeologico ne fa un elemento di particolare pregio ed interesse: al di sotto dello strato coltivato è custodita la gran parte dell’impianto urbanistico dell’antica città, mentre tra le rovine degli antichi templi, mandorli e olivi secolari danno vita ad una simbiosi che disegna un paesaggio certamente unico e prezioso. E' una campagna, quindi, che custodisce le tracce della storia antica di questi luoghi e ne esalta i resti evidenti delle architetture monumentali [...]. Il mantenimento dei caratteri del paesaggio agrario storico, altrove perduto con l'ammodernamento delle campagne della seconda metà del XX secolo, e la sopravvivenza dei sistemi produttivi ad esso legati, fanno del ''Bosco di Mandorli'' un prezioso bene culturale che testimonia la storia degli ultimi secoli trascorsi in questi luoghi.
 

L'EUCALIPTO IMPURO di Vincenzo Campo

Ho visto caduti sotto i colpi di una scure a me ignota alberi frondosi e imponenti e m’è tornato in mente - sapete i dejà vu? - quando, una volta, ragazzino, una cinquantina d’anni fa, fuori stagione andavo in macchina, una seicento bianca della Democrazia cristiana, accanto a mio padre che guidava, verso San Leone. Fui attratto dal fatto che dei molti e già allora imponenti alberi che costeggiavano la strada nel tratto in cui ora c’è il Villaggio Peruzzo, erano rimasti soltanto dei tronchi; tronchi e piccoli monconi dove prima c’erano rami che sorreggevano fronde che ricordavo enormi. Mi sembrò uno scempio; mi apparvero, quegli alberi, come giganti nudi e perciò inermi e privi di forze, domati e dominati da un nemico minuscolo e apparentemente insignificante, ma che aveva vinto perché dotato di scure. Non so proprio perché un simile ricordo, in definitiva banale, mi sia rimasto impresso nella memoria e perché mai - non fu questa, ora, la prima volta - mi torni in mente; so però che ricordo pure che alla fine i giganti, allora, quella volta, alla fine vinsero i nani con la scure: ricordo perfettamente che solo dopo qualche mese, nel rifare la medesima strada, ancora una volta con mio padre, vidi, e questa volta con gioia, che quegli alberi mortificati a tronco e monconi avevano rimesso rami e foglie, avevano riformato le loro fronde maestose ed erano tornati a dominare la strada per San leone.
Ora di nuovo il nano con la scure s’è accanito contro i giganti frondosi. Allora, quella volta quando ero ragazzino s’era trattato, io credo, di una semplice potatura radicale che gli alberi di quel tipo sopportano bene e che, in definitiva, superano rinascendo con vigore forse ancora maggiore di prima.
 

IL PRESEPE DEI CONTADINI ALLA KOLYMBETRA

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Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) in occasione delle festività natalizie è lieto di presentare ''Il presepe dei contadini' in mostra da lunedì 22 dicembre 2008 a martedì 6 gennaio 2009, dalle 10 alle 17 al Giardino della Kolymbetra, nella Valle dei Templi di Agrigento. Nel Giardino della Kolymbetra, gestito dal FAI – Fondo Ambiente Italiano nella Valle dei Templi, torna a rivivere la magia del presepe dei contadini. Un legame meraviglioso unisce infatti la tradizione siciliana del Natale con la coltivazione degli agrumi: i frutti degli aranci, dei mandarini e dei limoni un tempo erano impiegati per addobbare gli altarini della natività (Novene) che in questo periodo venivano montati ad ogni angolo delle strade di paesi e città. Attorno ad essi il vicinato si raccoglieva in gioiosa preghiera accompagnata dalla musica festosa dei canti natalizi.
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