Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

le belle lettere

 

RABATO di Giandomenico Vivacqua

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Sulla terrazza della casa del Rabato, assediato dalla frusciante brezza della sera, guardo un treno passare sui binari in fondo alla scarpata. Emette un suono lungo e sensuale, il bramito di un animale estinto. Treno di molte carrozze, andrà lontano.
Seduta accanto a un finestrino, una giovane viaggiatrice guarda nella mia direzione. “Chi è mai quell’uomo nel vento? E cosa lo lega a quella vecchia casa?” – forse si domanda.
Bon voyage. Adieu.
A occidente un insulto di cemento mi ruba il tramonto, mentre ad oriente la campagna si complica di riverberi viola.

 

IL DIO TARDIVO di Vittorio Alessandro

Nella cella del camorrista sfuggito alla cattura hanno rinvenuto gli scritti del vecchio papa. Anche nel covo interrato del mafioso ritrovarono una copia della bibbia tormentata da ampie sottolineature e sui "pizzini" i versetti che sarebbero serviti ad ordinare nuove operazioni criminali. Pare che dio possa accompagnare ogni nefandezza umana: il massacro di civili e bambini compiuto dagli uomini in armi, autoesplosioni terroristiche, il pubblico scempio dei significati più nobili di famiglia, patria e religione.
Illustrazione di <strong>Giuseppe Agozzino</strong>, <a href="http://www.suddovest.it/cms/?q=node/251">Fuorivista</a>, giugno 2001
Illustrazione di Giuseppe Agozzino, Fuorivista, giugno 2001
 

EUROPA RAPITA DAL TORO di Sandra Scicolone

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Tirava scirocco, da togliere il respiro. Roba da non credersi per quella parte dell’anno e della stagione. Rasoiate di caldo invadevano la città e creavano una sequenza di volti coloriti, sudati, increduli. E c’era un sole magnifico. Che poi facevano una gran rabbia quel sole e quel caldo perché esistevano indipendentemente dal suo umore. Cosa c’era di più irritante per una depressa storica che star male al cospetto di una bella giornata? Sarebbe stata giusta una solidarietà meteorologica, segno di equità invocare un cielo plumbeo rispettoso del suo umore.   Avevano fatto l’amore quella mattina, un po’ frettolosamente ma lei ci aveva messo tutta se stessa, come al solito. Lo aveva abbracciato e scongiurato di venirle dentro per sentirlo ancora più suo, o forse per sentirlo suo. Ma appena un’ora per vedersi dopo un lungo periodo di lontananza l’aveva lasciata disorientata. - Quality time, tesoro – le ripeteva tra uno squillo al cellulare e il suo rapido rivestirsi per andare al lavoro – E’ quella la cosa più importante.

 

RICCHI DI COLORI, POVERI DI SGUARDI di Tano Siracusa

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E’ sempre interessante vedere quali colori inventi la lontananza, quella dei chilometri ma anche quella degli anni. Luigi Galluzzo vive ormai da molti anni lontano  da Agrigento, e quando pensa ad Agrigento la   vede immersa nel giallo e nel grigio. Il giallo della luce abbacinante, certo. Ma è il grigio che oggi, nella  sua immaginazione, ha invaso la città e tutta la Sicilia.
Posso testimoniare che non è così, che non sono questi i colori che vedo dal balcone di casa mia, nel centro storico di Agrigento.
Io da qui vedo il giallo delle tegole sui tetti delle case imbrunito dalle muffe, poi uno svariare di verdi nella valle fino alla fascia azzurra del mare, che sbianca sopra l’orizzonte e si incupisce subito in alto, dove le rondini intrecciano già i loro voli. Questo con un’occhiata distratta.
Che il mare sia azzurro è infatti solo un’illusione della distanza, come nei quadri di Seurat e Signac. Stamattina, dalla spiaggia, il mare era tutto un ribollire di verde smeraldo, viola, bianco, blu cobalto, oro. Aveva le vibrazioni cromatiche di certe marine di Monet.
E due giorni fa, dalle parti della Kolymbetra, il giallo della caracitula superstite e delle margherite era chiazzato dal rosso scuro della sudda e dei primi papaveri. Sembrava di essere dentro un quadro dell’ultimo Van Gogh, che la luce di Arles aveva definitivamente fatto impazzire.
 

TRENTENNI TRA FUGA E NOSTOS (ALGHIA) di Davide Natale

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(Davide, come tantissimi neolaureati agrigentini, lascia Agrigento e va a lavorare a Roma. Da lì continua a seguire le vicende della sua città, come vediamo in questa lettera inviata a Tano. Un rapporto doloroso e addolorato che  non lascia immaginare il ritorno che in realtà c'è stato e in tempi rapidi. Come vivono i tanti trentenni agrigentini in giro per l'Italia? Agrigento può fare a meno di loro senza immiserirsi? E' pensabile un loro ritorno? E a quali condizioni?  Ci piacerebbe ospitare le vostre testimonianze. G.T.)

Roma,febbraio 2005. Sera ore 23 e trenta

 

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