Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

le opinioni

 

I TALENTI VANNO MESSI A FRUTTO, SEMPRE di Venerando Bellomo

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Caro Giandomenico, in merito al tuo scritto Che fare? Migliori del proprio tempo o del proprio tempo i migliori?, che ho molto apprezzato, mi chiedo: ma cos’è e quale effettivamente è la nostra generazione. Ho, da sempre, avuto l’impressione, proprio per essere nato nei primi anni sessanta, di appartenere non ad una, la nostra, ma a più generazioni. Ritrovandoci testimoni di un’epoca volgente, che proveniva dal dopoguerra, ma che si portava appresso i caratteri sociali e psicologici di un mondo che deponeva le armi, per traghettare in quello spumeggiante “da bere”, precipitando in un contemporaneo così fluido da non avere il tempo di assumere alcuna forma. E la differenza, per ciò che riguarda la prima fase, tra me che provenivo dalla provincia e la città, che destava perplessità ed angoscia, per intenderci quel sentimento che descrive Paolo Conte con “Genova”, era allora di tutta evidenza, in particolare, nella formazione scolastica, quasi asburgica. Tanto d’essermi convinto di aver fatto un servizio militare anticipato. E poi, poco alla volta, anche nei paesi, per induzione, ci si cominciò ad uniformare verso il paradigma cittadino, fino a raggiungerlo. Essendo ormai difficile distinguere, forse nemmeno nella cadenza linguistica, la provenienza dei ragazzi. Ma i paesi sono, almeno nella memoria, un luogo tutto da scoprire, dove vissero dei personaggi come Don Ferrante, che ad un giro ristrettissimo di giovani fecero conoscere un sapere che, altrimenti, difficilmente avrebbero avuto. L’opera lirica, la letteratura, il teatro erano oggetto di narrazioni e di fantasie galoppanti, magari a volte estrose ed eccentriche, che però spinsero quei giovani a recuperare libri, dischi, copioni, partiture, che diventarono prolegomeni della loro formazione.

 

PERIFERIE, LUOGHI DELLA DECADENZA di Roberto Tripodi

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L’interessante dibattito che sta prendendo forma su Suddovest, le tesi stimolanti proposte da Maurizio Iacono e Gioele Farruggia, mi spingono a chiedere ospitalità per esporre una riflessione. In verità mi sento parte in causa per aver progettato nel 1984 il Piano Particolareggiato di Montaperto e aver partecipato, nel 1972 al Concorso nazionale di Idee sul PRG di Agrigento (arrivammo secondi dietro il progetto Caronia). Anzi, partirei proprio da qui, dal nostro progetto di nuova città che doveva sorgere tra la collina di Girgenti e Porto Empedocle, mentre il progetto Caronia, destinato a vincere, sostenuto dai costruttori e soprattutto dai proprietari terrieri, prevedeva nove centri satelliti come espansione della città esistente, insufficiente a contenere la nuova edilizia e impossibilitata a espandersi nella Valle. Andò come sappiamo: l’amministrazione comunale e l’ufficio tecnico forzarono non poco i progettisti, al punto che Pippo Cangemi e Vincenzo Cabianca si dimisero, Caronia firmò lo stesso il progetto, alcuni proprietari terrieri e alcuni costruttori si arricchirono, Agrigento si trasformò in un’immensa periferia, con l’aggravante che il trasferimento della popolazione, a Villaseta, S. Michele, Villaggio Mosè, S. Leone, Fontanelle, S. Gisippuzzu, Spinasanta, Madonna Delle Rocche, Cannatello, causò l’abbandono e l’obsolescenza del Centro Storico. Io ero reduce da una esperienza biennale ad Algeri che indirizzava l’espansione edilizia concentrandola in particolare verso le emergenze universitarie tra cui l’Université des Sciences progettata da Oscar Nimeyer e dall’esperienza quadriennale a Sondrio, che aveva progettato la propria espansione attorno ad una piastra commerciale, concentrando l’intervento all’interno dell’argine dell’Adda.

 

NOI CHE ...DALL'AGIRE COLLETTIVO ALL'ESASPERATO INDIVIDUALISMO di Licia Siracusa

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Caro Giandomenico, 
dietro il senso di straniamento da te così abilmente descritto avverto la percezione di un fallimento che forse è ancor più profondo di quello del protagonista del romanzo di Flaubert, perché è proprio non tanto, o non soltanto, d
el singolo, ma di un'intera generazione; la tua appunto, quella che ha visto dissolversi la speranza della straordinaria capacità palingenetica dell'agire collettivo in un esasperato individualismo, il quale mostra, oggi, nel peggiore dei casi, il volto oscuro e a tratti grottesco del narcisismo avido, e nel migliore dei casi, il tratto dolente e malinconico dell'isolamento contemplativo. 
Purtroppo, non siete stati, né migliori dei vostri tempi, né del vostro tempo i migliori. Eppure da voi, dal novecento, dal racconto della vostra delusione, dai vostri errori qualcosa "noi" abbiamo appreso; per esempio, a non fidarci dell'illusione ideologica, a sentire che il nostro"eroico furore" può consistere in un agire individuale che si conquista, giorno per giorno, un "significato collettivo", senza essere né protestatario, né ostinatamente rivoluzionario. 
 

SULLE SPALLE DI GIGANTI MA CON LO SGUARDO AL PROPRIO OMBELICO di Fausto D'Alessandro

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Caro Giandomenico, ho letto su Suddovest il tuo Che fare? Migliori del proprio tempo o del proprio tempo i migliori? e di seguito le riflessioni di Maurizio Iacono, di Giovanni Taglialavoro, di Enzo Campo e di tuo fratello Stefano.

Tutte belle persone che ho ammirato e ammiro tanto e che mi piacerebbe moltissimo incontrare, assieme a tanti altri, in una calda sera di estate, in una trattoria a mare, per divertici, e anche per parlare del nostro tempo tradito.

Tradito da una collettiva inadeguatezza umana e culturale.

Inadeguatezza inspiegabile, considerando la forza motrice che veniva dai due secoli precedenti.

L’inadeguatezza, senza tempo, tipica delle strutture mentali segnate dal soggettivismo e da una modalità cognitiva essenzialmente Tolemaica.

Tolomeo fu un grande ideologo, maestro e leader del senso comune. Si innamorava della grandezza e bellezza della realtà, ed in modo sistematico ed irreligioso, la raccontava con rigorosa fedeltà sensoriale.

Tolomeo era un nano che non aveva avuto la possibilità di salire sulle spalle di altri nani e vedere più lontano.

E per secoli il bildungsroman rimase semplicistico, schematico, informe, elementare.

Ma IL NOSTRO TEMPO aveva la possibilità di salire sulle spalle di giganti: Copernico aveva dimostrato con la matematica che l’empirismo e il pragmatismo di Tolomeo erano ingenui e fallaci; Einstein, in aggiunta a Copernico, aveva insegnato che il comprendere va relazionato al punto di osservazione; Marx aveva indicato il fine razionale della organizzazione della Polis moderna; Karl Jaspers aveva insegnato a distinguere il fenomeno dal noumeno psichico; Giovanni XXIII, infine, aveva raccontato la pastorale luminosa di una dottrina rigorosa.

 

CARDINALE MONTENEGRO. PASSIONE E MORTE IN AGRIGENTO. A QUANDO LA RESURREZIONE? di don Francesco Montenegro

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Ecco il testo integrale del discorso del card. Montenegro, arcivescovo di Agrigento, pronunciato, in piazza San Domenico durante la processione serale del Venerdì Santo

Signore Gesù,
anche quest’anno, stando davanti a te con la mia gente, ti presento il mio stato d’animo.
So che mi comprendi perché anche Tu hai provato l'amaro sapore dell' angoscia tanto da arrivare a dire: «La mia anima è triste fino alla morte» (Mc 14,34).

 

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