Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

le opinioni

 

AMICI, NON POSSO NON DIRMI INATTUALE di Stefano Vivacqua

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Carissimi amici, sento di dovere intervenire nella discussione avviata dallo scritto di Giandomenico con poche sincere considerazioni. Il tempo della nostra ventura terrena declina. Finalmente possiamo guardare al presente, e maggiormente al futuro, con il distacco e la lucidità di chi non ha più nulla da sperare o pretendere dal suo tempo, né la velleità di migliorarlo o esserne migliore. Non si tratta di riconoscersi protagonisti del proprio tempo, o testimoni di un tempo in cui lo fummo, bensì e soltanto di capire chi o cosa siamo diventati nel frattempo, e se questo scorcio di mondo in cui ci è dato consumare il nostro commiato ci coinvolga e sospinga ad un qualche dovere di presenza, ovvero ci respinga in una deliberata e, per molti versi, spensierata assenza. Per quanto mi concerne, la mia parte in questo finale di partita è quella dello spettatore, niente di più. Spettatore inorridito, depresso, allarmato, incredulo, sdegnato, insofferente, rassegnato, e per legittima difesa sempre più indifferente e sordo.

 

BELLEZZA ED ELEGANZA AL TEMPO DELLA 'BÊTISE' di Alfonso Maurizio Iacono

Una scena di Bouvard et Pécouchet (Fonte: <a href="http://flaubert.univ-rouen.fr/derives/bouvard_cinema.php">Centre Flaubert</a>)
Una scena di Bouvard et Pécouchet (Fonte: Centre Flaubert)

Caro Giandomenico,

Hegel diceva che nessuno può elevare il proprio punto di vista al di sopra del proprio tempo, ma anche quando non si è più giovani restiamo nel nostro tempo e talvolta qualche invettiva. anche se non ci si addice, forse merita di essere detta proprio perché il nostro stesso tempo ci spinge a farlo.

In fondo il Flaubert di quello straordinario romanzo che è "L'educazione sentimentale" è anche l'autore di "Bouvard et Pécouchet", dove la vera protagonista è la 'bêtise'. Come tradurre? Stupidità? Forse è una traduzione troppo dolce e troppo poco ironica. Meglio non tradurla. Essa era espressione del tempo di Flaubert come lo è forse ancora di più del nostro tempo.

Ma a parte ciò, ci tengo a dirlo, il tuo scritto è bello ed elegante. Bellezza ed eleganza, proprio quello che ci manca oggi nell'epoca della bêtise. Forse non è questione di attualità o di passato, ma di come ci poniamo noi quando riconosciamo (ma riusciamo ancora a farlo) la bellezza e l'eleganza dell'argomentare.

 

CHE FARE? MIGLIORI DEL PROPRIO TEMPO O DEL PROPRIO TEMPO I MIGLIORI? di Giandomenico Vivacqua

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Devo all’esempio discreto ma cogente di un maestro ed amico, il dottor Joseph Tower, se recentemente ho saldato un vecchio debito con me stesso, leggendo L’educazione sentimentale di Gustavo Flaubert, ineludibile romanzo di formazione, dal quale lettori comuni e intellettuali creativi, a distanza di un secolo e mezzo dalla sua pubblicazione, continuano a trarre durevoli orientamenti psicologici e raffinati modelli espressivi e immaginativi. Per quanto mi riguarda, la lettura del capolavoro flaubertiano, autentico spartiacque nell’irrilevante carriera di un provinciale, sollecita alcune riflessioni sulla necessità di fare, e continuamente rifare, i conti con la propria generazione.

Una delle principali caratteristiche del bildungroman risiede nel fatto che le evoluzioni individuali dei personaggi vi sono rappresentate come intimamente connesse al mutamento storico, circostanza da cui deriva l’inanità di ogni tentativo di trascendere la propria età, di ergersi al di sopra o di sporgersi oltre il proprio tempo. Ogni generazione non scrive che la propria storia, dal punto in cui la generazione precedente ha sollevato la matita dal foglio. Ambizioni, speranze e fallimenti non sono condivisibili, tutto si genera e si consuma nel volgere degli anni che vanno dalla prima giovinezza alla maturità. Assunto il primo comando, attraversata la conradiana linea d’ombra, non rimane che il piacere di raccontarla. La militanza esistenziale lascia necessariamente il posto a una qualche forma di testimonianza. Quel che è stato è stato, irrimediabilmente.

Viaggiò.

Conobbe la malinconia dei piroscafi, i freddi risvegli sotto la tenda, la vertigine dei paesaggi e delle rovine, l’amarezza delle simpatie troncate.

Ritornò.

 

LA CITTA' FUTURA di Vito Bianco

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Circola da tempo un aneddoto (un apologo?) che, se non è vero, potrebbe presto o tardi diventarlo: un turista giapponese, dopo una giornata in giro per calli e campielli, sul far del crepuscolo ferma un veneziano e gli chiede: “mi scusi, a che ora chiude Venezia?” 
Vera o falsa che sia, la storiella del giapponese che scambia la città lagunare per un parco a tema che a una certa ora chiude i cancelli (il tema: Venezia) dovrebbe far riflettere sul pericolo che corrono le maggiori tra le nostre città storiche, a cominciare proprio dalla più imitata, dipinta, visitata e fotografata. Quale pericolo? Diventare appunto dei parchi tematici per turisti compulsivi e viaggiatori colti; per scolaresche chiassose e disciplinati pensionati che si  godono il meritato riposo periodicamente visitando “la storia”.
La questione della salvaguardia dei centri storici è una questione cruciale, ma non può essere affrontata isolatamente, staccandola dalla più generale e vitale questione dello spazio urbano nella sua interezza. Così facendo si rischia di creare  due micro mondi separati dal censo, due città che non comunicano: una turistica e pedonalizzata, abitata da benestanti che potranno sostenere gli alti affitti e i prezzi di vendita degli immobili; l’altra periferica e inquinata, destinazione obbligata di tutti quelli che non saranno più in grado di sostenere l’aumento dei costi degli alloggi. 
I sociologi hanno dato  un nome a questo esodo involontario dal centro alla periferia: “gentrification”, che in sostanza significa modificazione a scopi speculativi del carattere sociale dei quartieri antichi ma non solo.

 

SE ACCADE A PALERMO PUO' SUCCEDERE ANCHE AD AGRIGENTO. O NO? di Tano Siracusa

Dunque è possibile. Anche in una città come Palermo, i cui abitanti avevano progressivamente convertito le automobili in costosissime e inefficienti protesi per spostarsi anche di poche centinaia di metri, anche in una città che meravigliava i visitatori per l'impatto sonoro e visivo del suo traffico, per la sua evidente insensatezza, perfino a Palermo è possibile impedire alle automobili l'accesso al centro.

 

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