Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

"SCONFITTI, MA FIERI E PULITI" di Ornella Sinagra*

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E poi, sembra un caso, sostituisci qualcuno e ti trovi seduta in teatro. Non ti va di seguire, ma non riesci a far altro, perché qualcuno racconta la sua storia. Che è la storia anche tua. E allora ti sposti e ti siedi davanti, da sola. La ascolti. La città era la stessa. Le persone, le stesse. I ruoli cambiavano, ma la trama era una. Ognuno aveva scelto da che parte stare. Qualcuno aveva l'idea più chiara di altri, qualcuno era avanti, qualcuno seguiva, qualcuno nasceva, qualcuno non capiva, qualcuno fingeva, qualcuno negava. Ma si viveva accanto, negli stessi luoghi. Molti non ci sono più. Lui oggi ne parla, li ricordo tutti, mi sale il nodo alla gola. La sua memoria si stupisce ancora mentre racconta di un uomo grande e solo. E di quelli che gli erano accanto. Come lui. In quella città bella, difficile e irredimibile. Non vado più lì, non ho voglia di stringere mani che conosco sporche. Vado in Canada per ricordare. E poi ho scritto un libro. 
Già, a me viene in mente che ho vissuto troppo duramente in quegli anni. Giovane, in una città solare infestata dal piombo, dal sangue e dalla menzogna. Nessuno ci restituirà l'innocenza. Nessuno ci restituirà quei miti, diversi dagli altri. Nessuno mi risarcirà per le cose che ho dovuto ascoltare nelle aule più alte, dove si doveva insegnare la legge. Troppo era in mano a loro. Troppo era confuso. E questo mi fa rabbia, ancora, adesso. Che sono passati più che 20 anni. 
Alla fine ci sono gli interventi dei ragazzi, contenuti nei "pizzini"...il Generale è un uomo con grande senso dello humor, e sa che è più facile così. 

 

A 25 ANNI DA CAPACI. COLTIVARE LA MEMORIA CON E OLTRE I RITI di Ottavio Sferlazza*

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Da molti anni ormai non riesco a sottrarmi a quello che ormai, dalle stragi del 1992, considero un vero e proprio impegno morale, una forma di “militanza politica” in difesa della dimensione etica della legalità: andare nelle scuole per incontrare gli studenti, non per fare una lezione ma per una testimonianza ed una parola di speranza nella prospettiva di contribuire alla crescita culturale e politica delle giovani generazioni.

L’importanza di tali confronti con gli studenti era già stata colta, fin dagli anni ottanta, dal compianto consigliere istruttore di Palermo, Rocco Chinnici, rimasto vittima della strage di via Pipitone Federico il 29 luglio del 1983, che ho avuto l’onore di conoscere quando nel 1978, giovane uditore giudiziario, venni affidato per un periodo di tirocinio all’allora giudice istruttore di Palermo, Paolo Borsellino, che me lo presentò quale capo di quell’ufficio.

Alla base di questo impegno morale e sociale v’è il profondo convincimento, sempre più maturato nel corso degli anni, che sia ormai acquisita alla coscienza collettiva la consapevolezza che la risposta giudiziaria non costituisce una soluzione taumaturgica del problema della criminalità organizzata, ma occorre altro e cioè una crescita culturale e politica complessiva della società civile e delle istituzioni che va perseguita e costruita quotidianamente anche attraverso le numerose iniziative che le scuole promuovono per sollecitare una riflessione collettiva con gli studenti che si affacciano alla maggiore età su temi di grande attualità, quali la legalità e la democrazia in una terra come la Sicilia che presenta, al pari della Calabria, dove lavoro da oltre otto anni, il problema gravissimo di una forte presenza della criminalità organizzata e di una illegalità diffusa.

 

IL RAPPORTO TRA FATTI E VERITA'? PER SCATTI E SCRITTI A DECIDERE E' IL CONTESTO di Tano Siracusa

Giraffa safari Zambia, Luangwa Valley, 1995
Giraffa safari Zambia, Luangwa Valley, 1995

Che i fatti, non controvertibili, siano una illusione del senso comune, che la verità, almeno relativamente alle vicende umane, sia una chimera, è stato sospettato fin dalle origini della civiltà occidentale.
Ben prima della attuale discussione sulla post-verità e sulla scomparsa dei fatti, ancora alla metà dell'ottocento, quando il mimetismo nella rappresentazione visiva della realtà era affidata alle mani degli artisti e alle prime apparecchiature dei fotografi, la tesi che esistessero non i fatti ma le loro interpretazioni accompagnava la parabola delle certezze positivistiche fino al loro declino.
Agli inizi del nuovo secolo Pirandello, che curiosamente mai si è occupato di fotografia ma molto di cinema, avrebbe popolarizzato per il pubblico borghese dei teatri e dei romanzi una versione estrema del relativismo conoscitivo e della conseguente problematicità di ogni forma di comunicazione. La prima rappresentazione di 'Così è, se vi pare' è del  '17, mentre infuria la grande guerra: niente 'fatti' e nessuna verità oggettiva per il drammaturgo siciliano, solo certezze soggettive, maschere, finzioni, teatro,  e il rovello retorico per gli ingenui nel   tentativo di presuadere l'altro.
Pur possedendo fin da subito una prospettiva privilegiata, il contributo dei fotografi alla riflessione sui 'fatti' e sulla loro evanescenza ha voluto rimuovere alcune evidenze ribadite dalla loro esperienza.
La fotografia sembra rinviare, come una copia, come un riflesso, ad un originale che è poi la sua origine, e con una fedeltà che era apparsa sorprendente nel 1840, quando la somiglianza della copia all'originale veniva affidata al talento di Ingres e dei suoi seguaci.

 

RAVANUSA. IL MIO PRIMO VIAGGIO DA BAMBINO, IL MIO 'NOSTOS' DA GRANDE di Giandomenico Vivacqua

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La mia prima, fondamentale esperienza di viaggio, mezzo secolo fa, sono state le trasferte da Agrigento a Ravanusa, a bordo di una Lancia Appia, quando venivano le feste comandate e mio padre sentiva il bisogno morale di ricongiungersi con la famiglia d’origine. L’automobile, una berlina affusolata dai malinconici fanali rotondi, mio padre l’aveva acquistata alla fine degli anni ’50, dopo lunghe riflessioni e alcune ruvide ma efficaci lezioni di guida, impartitegli da un cugino acquisito in fama di essere un discreto pilota. L’Appia aveva portiere che si spalancavano al modo delle ante degli armoire, tanto spesse che quando si chiudevano emettevano un tonfo sordo e perentorio, come fossero le aperture di un caveaux della Banca d’Italia. Il sedile anteriore era un voluttuoso divano; la leva del cambio, posta orizzontalmente all’altezza dello sterzo, conferiva alla vettura, uscita di produzione nel 1963, un irresistibile aspetto retrò.
 

C'E' QUALCOSA DI NUOVO OGGI TRA NOI, ANZI DI ANTICO: LE PERSECUZIONI di Giandomenico Vivacqua

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“Contestare la presenza della brigata ebraica nella festa della liberazione non è un diritto, è un dovere!”

In un volantino fatto circolare l’anno scorso in occasione della ricorrenza del 25 aprile, e oggi reperibile su internet1 – il cui autore apprendiamo essere un “giurista e attivista per i diritti umani”, già tesserato dell’ANPI sezione Seprio2 –, viene affermato il dovere di opporsi alla partecipazione della Brigata ebraica alle celebrazioni della Liberazione. Tale dovere procederebbe dal fatto che la presenza dei rappresentanti del corpo di volontari ebrei provenienti dalla Palestina, che nel 1944 presero parte, inquadrati nell’esercito britannico, alla lotta di liberazione, combattendo in Toscana e in Emilia Romagna, non sarebbe che una fraudolenta operazione di propaganda voluta dai sionisti. “Noi siamo contro l’uso della Festa del 25 Aprile per bieche operazioni propagandistiche a favore di uno Stato i cui principi fondanti sono antitetici ai valori dell’ANPI e della Resistenza” dichiara risolutamente il difensore dei diritti dei popoli oppressi.

 

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