Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

memoria

 

PIAZZA CAVOUR COME DESTINO di Alfonso M. Iacono

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La piazzetta era tutto il mio mondo. A quel tempo noi bambini, moltissimi e di tutte le età, sciamavamo in Piazza Cavour tra i quattro palazzi che facevano i tre lati di un rettangolo, mentre il quarto lato si affacciava sulla Valle dei Templi fino al mare. Due alberi da un lato e altri due dall’altro erano diventati i pali delle porte di un campo di calcio un po’ particolare. Bisognava controllare la palla, comprata avendo fatto una colletta fra tutti (cinque, dieci lire a testa e poi di corsa al negozio che le vendeva), che andava a intricarsi fra i tubi di ferro del palco della musica oppure rimbalzava tra le grandi aiuole che stavano in mezzo. Partite infinite, specie la sera, prima di cena. Di giorno, durante l’estate, gli alberi, le aiuole, il palco della musica, i pali della luce diventavano gli elementi principali di un parco giochi di cui noi eravamo protagonisti insieme a Fido e a Fritz, i due cani che scorrazzavano nella piazza. Acchiapparé, ad acchiappare, ammucciaré, a nascondino a fare ponte, a liberare, a ruba bandiera, a lignu santu, a fussité, alla fossetta con le monete, alle figurine dei calciatori, con le formiche e i maggiolini, con la bici, alla lotta. Il momento migliore era per me il primo pomeriggio, quando tutti avevano pranzato, gli uomini facevano la pennichella e le donne tramestavano in casa, contente di non avere nessuno tra i piedi. Mia madre si fumava la sua quasi unica sigaretta della giornata, una Edelweiss, leggera e dolciastra. A quel tempo non c’era la pausa pranzo, almeno lì da noi. Si mangiava piuttosto tardi, verso le 15, come gli spagnoli che evidentemente avevano lasciato il segno delle loro abitudini, e dopo…. E dopo provavo un moto di intensa gioia al pensiero di essere in vacanza e di non dovere dunque pensare ai compiti che di solito facevo appunto subito dopo pranzo.

 

IL FAVOLOSO MONDO DELLE LOCOMOTIVE. IN VIAGGIO CON MIO PADRE di Alfonso M. Iacono

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Doveva essere uno di quei treni che allora si chiamavano accelerati. In realtà non erano poi tanto accelerati, anzi erano quelli che si fermavano a tutte le stazioni. Era primavera avanzata. Luce e caldo lambivano la pelle e niente era lontano. Mio padre ed io salimmo sul vagone postale. Una parete del vagone era tutto ricoperto da caselle quadrate, come quelle che stanno alle spalle del portiere di un albergo, ma erano più grandi. Un uomo, che mio padre ben conosceva, stava lì a mettere, ora qua ora là, lettere e piccoli pacchi. Proprio come si faceva in un ufficio postale. Ed io lo sapevo bene. In un ufficio postale ci ero cresciuto. Mio padre e mia madre lavoravano lì. Grembiule nero, timbri, inchiosto. Ho ancora la fotografia di mia madre allo sportello, impiegata addetta alle pensioni, con aria felice. E ancora più felice lo era quando una volta all’anno, di febbraio, durante la Festa del Mandorlo in Fiore, vendeva francobolli da una finestra di un bus delle Poste che sostava in mezzo alla Valle dei Templi, nei pressi del Tempio della Concordia, in mezzo a un mare di gente che vedeva danzare i gruppi in costume provenienti da tutto il mondo. Il vagone postale viaggiava lentamente, trainato da una locomotiva a vapore, una 740. Questo numero per molti non ha alcun significato, ma non per me. Era la locomotiva che vedevo passare dalla terrazza dei miei nonni. Trainava pochi vagoni e uno di essi andava a Roma. A quel tempo vi erano questi treni, detti a composizione minima, fatti solitamente di una locomotiva, un vagone postale, un vagone cento porte oppure corbellini, con sedili di legno. Fermavano a tutte le stazioni e a ogni fermata sostavano un tempo, per me che volevo farmi accompagnare dal vento e da fumo, sempre troppo lungo. Il portellone restava sempre aperto, ma, durante la marcia, mio padre e il suo amico non mi ci facevano avvicinare.

 

TERRAVECCHIA. I TESORI SALVATI DALLE RUSPE di Beniamino Biondi

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Terravecchia, scavi (GUARDA LA FOTOGALLERY)

Se fotografare significa appropriarsi della cosa che si fotografa, stabilendo con il mondo una relazione particolare di conoscenza, ciò è accaduto in queste ore proprio guardando alcune immagini scattate intorno al cantiere del progetto Terravecchia, nel cuore del centro storico, a pochi passi da Santa Maria dei Greci, in quel segmento di Agrigento che si è dato alla storia come uno dei più antichi e straordinariamente fecondi di bellezza. Il passaggio dalle semplici descrizioni letterarie o di memoria all’evidenza documentaria delle immagini ha prodotto numerosi interventi sui social network che si interrogano, ognuno con la propria opinione, sul futuro della città e sulla sensatezza o meno di un certo tipo di interventi di recupero del centro storico e di ridefinizione dei suoi spazi e delle sue direzioni. Ciò che è visibile nelle immagini è possibile leggerlo in un prezioso e bell’articolo di Mauro Indelicato sul sito Infoagrigento, dove si parla proprio dei rinvenimenti accaduti nel quartiere dopo anni di incuria e di abbandono: un ipogeo, un bellissimo pozzo, i resti di una chiesetta, i locali ad ampio arco di un lavatoio con alcuni dei suoi pavimenti ancora intatti. Una sorta di emersione fatidica di un patrimonio nascosto per decenni che vede la luce oggi, in una stratificazione che si è fatta deposito di secoli di storia urbana, radiografia involontaria e sublime di una città inghiottita da una modernità straziata dalla bruttezza e dalla sciatteria del suo presente.

 

MARILINA MARCHICA. RITRATTO DI ARTISTA RILUTTANTE di Tano Siracusa

Ho conosciuto prima i suoi lavori e poi lei, l'autrice. La prima volta che ho chiesto a Marilina Marchica se voleva entrare nelle riprese che facevo sul gruppo di Artificio, di cui faceva parte, mi ha detto di no. Era l'estate del '13, quando Vallicaldi era un laboratorio aperto nel cuore del centro storico e lei ci stava dentro, con i suoi quadri, senza alcuna voglia di apparire.

Poi, a poco a poco, ho cominciato a riprenderla, a documentare in incontri successivi, a volte poco meno che casuali, le varie fasi di questo lavoro che il 5 gennaio è stato presentato presso la galleria di Nello Basile.


Ag/Impronta è un lavoro realizzato assieme all'artista di Favara Roberto Pecoraro, che matura nell'ambito della sua attività di restauratore nel centro storico di L'Aquila e che si pone sul confine fra intenzione e casualità, fra rilevazione mimetica delle superfici e proposta estetica: calchi che prelevano dalla realtà dei centri storici di L'Aquila e Agrigento frammenti  che sono forme, immaginari come quadri, come quadri incorniciati ma nel ferro, materiale reperibile fra le rovine, gli intonaci, i calcinacci delle vecchie case di L'Aquila e di Agrigento. Mediazione concettuale e bellezza, operazione critica e offerta allo sguardo, alla fruizione puramente estetica. Operazione intrinsecamente fotografica, che non inventa ma registra la forma, la bellezza, quando accade: per caso, per l'incuria degli uomini, per il semplice trascorrere del tempo.

 

PROGETTO SALVALARTE DI LEGAMBIENTE RIFLETTORI ACCESI SU SANTO SPIRITO di Emanuele Enrico Mariani

Monastero di Santo Spirito, Agrigento
Salvalarte e' un progetto di Legambiente attivo in Sicilia da piu' di dieci anni.
Si tratta di uno dei rami ormai piu' importanti delle attivita' svolte da Legambiente, nato a livello nazionale, ma da diversi anni con un progetto specifico per la Sicilia per il suo inestimabile patrimonio artistico a culturale.
Uno sguardo dentro i monumenti, le Chiese e tutte quelle strutture che per vocazione intrinseca e tradizione rappresentano un surplus di ricchezza da custodire e promuovere.
Ma piu' precisamente lo spirito di Salvalarte sembra somigliare a quello dell'attento cittadino che con il suo stesso sguardo, nel momento in cui ammira l'arte, si preoccupa della sua fruibilita' nel tempo, della sua possibilita' di permanenza; possibilita' stessa che i suoi stessi contenuti, spesso accennanti all'eterno ed all'immortalita', vogliono veicolare.
A partire da tali presupposti quest'anno Legambiente Agrigento ha posto l'attenzione sulla chiesa di Santo Spirito. Ha organizzato visite, e preparato un reportage fotografico nel quale si mettono chiaramente in mostra i rischi di decadimento ai quali si espongono diverse opere della stessa, dagli stucchi del Serpotta, fino a giungere all'affresco che fornisce l'illusione prospettica della cupola.
Cosi' stamane le telecamere di diverse televisioni locali hanno fatto il loro ingresso nella Chiesa poco a monte della Via Atenea, in occasione di una conferenza stampa indetta dal Circolo Rabat - Legambiente - di Agrigento, proprio nella bella sala conferenze del monastero.
 

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