Una presenza ingombrante, quella di Camillo Benso conte di Cavour; tutti i giovani erano d’accordo e avrebbero voluto che così non fosse stato; ma non si poteva; non si poteva andare contro il corso della storia, non si poteva ostacolare il corso obbligato delle cose; bisognava che si riconoscesse merito a chi era stato primo Presidente del consiglio dei ministri dell’Italia unita; per quanto antipatico potesse essere, era assolutamente impossibile pensare di disfarsi di colui che aveva inventato il “centro”, quel luogo politico che è stato quel baricentro dell’Italia, che, spostandosi ora un po’ a destra, ora un po’ a sinistra, fatta eccezione per il periodo fascista, piaccia o no, ha retto il Paese fin dalla sua condizione pre-unitaria ai giorni nostri. E perciò era inevitabile: egli stesso era il centro e al centro doveva stare. I giovani, si sa, e guai se così non fosse, sono ribelli: anelano al cambiamento radicale, vorrebbero raggiungere gli obbiettivi tutti, subito e senza mediazioni e, invece, lì, di fronte a lui, quelli della mia generazione, impotenti, dovevano necessariamente mordere il freno e nulla potevano contro di lui: era un Padre della Patria; si sa che, per la verità, non ci aveva neppure pensato ad adottare questa Patria, che, da buon ministro di Casa Savoia e ben sapendo di non essere altro che questo, realisticamente avrebbe solo voluto allargare lo striminzito Regno di Sardegna; ma poi il gioco gli era sfuggito di mano e aveva realizzato quello che era stato il sogno della sinistra ed era finito col fare l’Italia “una d’arme, di lingua, d'altare,/Di memorie, di sangue e di cor”.