Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

le opinioni

 

IL RAPPORTO TRA FATTI E VERITA'? PER SCATTI E SCRITTI A DECIDERE E' IL CONTESTO di Tano Siracusa

Giraffa safari Zambia, Luangwa Valley, 1995
Giraffa safari Zambia, Luangwa Valley, 1995

Che i fatti, non controvertibili, siano una illusione del senso comune, che la verità, almeno relativamente alle vicende umane, sia una chimera, è stato sospettato fin dalle origini della civiltà occidentale.
Ben prima della attuale discussione sulla post-verità e sulla scomparsa dei fatti, ancora alla metà dell'ottocento, quando il mimetismo nella rappresentazione visiva della realtà era affidata alle mani degli artisti e alle prime apparecchiature dei fotografi, la tesi che esistessero non i fatti ma le loro interpretazioni accompagnava la parabola delle certezze positivistiche fino al loro declino.
Agli inizi del nuovo secolo Pirandello, che curiosamente mai si è occupato di fotografia ma molto di cinema, avrebbe popolarizzato per il pubblico borghese dei teatri e dei romanzi una versione estrema del relativismo conoscitivo e della conseguente problematicità di ogni forma di comunicazione. La prima rappresentazione di 'Così è, se vi pare' è del  '17, mentre infuria la grande guerra: niente 'fatti' e nessuna verità oggettiva per il drammaturgo siciliano, solo certezze soggettive, maschere, finzioni, teatro,  e il rovello retorico per gli ingenui nel   tentativo di presuadere l'altro.
Pur possedendo fin da subito una prospettiva privilegiata, il contributo dei fotografi alla riflessione sui 'fatti' e sulla loro evanescenza ha voluto rimuovere alcune evidenze ribadite dalla loro esperienza.
La fotografia sembra rinviare, come una copia, come un riflesso, ad un originale che è poi la sua origine, e con una fedeltà che era apparsa sorprendente nel 1840, quando la somiglianza della copia all'originale veniva affidata al talento di Ingres e dei suoi seguaci.

 

C'E' QUALCOSA DI NUOVO OGGI TRA NOI, ANZI DI ANTICO: LE PERSECUZIONI di Giandomenico Vivacqua

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“Contestare la presenza della brigata ebraica nella festa della liberazione non è un diritto, è un dovere!”

In un volantino fatto circolare l’anno scorso in occasione della ricorrenza del 25 aprile, e oggi reperibile su internet1 – il cui autore apprendiamo essere un “giurista e attivista per i diritti umani”, già tesserato dell’ANPI sezione Seprio2 –, viene affermato il dovere di opporsi alla partecipazione della Brigata ebraica alle celebrazioni della Liberazione. Tale dovere procederebbe dal fatto che la presenza dei rappresentanti del corpo di volontari ebrei provenienti dalla Palestina, che nel 1944 presero parte, inquadrati nell’esercito britannico, alla lotta di liberazione, combattendo in Toscana e in Emilia Romagna, non sarebbe che una fraudolenta operazione di propaganda voluta dai sionisti. “Noi siamo contro l’uso della Festa del 25 Aprile per bieche operazioni propagandistiche a favore di uno Stato i cui principi fondanti sono antitetici ai valori dell’ANPI e della Resistenza” dichiara risolutamente il difensore dei diritti dei popoli oppressi.

 

PERIFERIE. "SO COSA SIGNIFICHI VIVERCI" di Carmelo Sardo

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Tutti conosciamo le periferie, ma ognuno le conosce a modo suo. Tutti sappiamo e possiamo parlarne, ma solo chi le ha vissute e le vive può raccontarle. Diversamente resteranno un concetto astratto, attorno al quale ogni proposta e ogni suggerimento finiscono per alimentare un dibattito che rischia di cozzare contro certa riluttanza, politica e culturale, nell'affrontare il fenomeno dalle sue viscere. Ma bisogna parlarne certo, e correrlo questo rischio, provando a non cedere ai soliti vecchi ritornelli stereotipati, o a facili e abusate metafore. E allora, sì, è vero che l'uomo ama per natura "accentrarsi"; che il centro è e resterà sempre il cuore pulsante delle città, accalappiatore di turisti, ammaliatore di giovani a frotte, allettati da negozi e da locali alla moda; rappresentazione, se non ostentazione, di benessere, in cui cercar riscatto smarcandosi da quel cibreo disordinato che contorna il salotto buono delle città, dove si allungano periferie eternamente degradate ( ecco, ho ceduto anch'io ai luoghi comuni, ma parlandone è inevitabile).

Allora provo ad andare oltre e a raccontarle le periferie: anzi, la mia periferia. Perché io vengo da lì. Lì sono cresciuto e da lì sono partito, ed è lì che torno quando torno, perché lì c'è ancora la mia casa, dove da oltre quarant'anni vive mio padre. Lì, in quel posto dimenticato da tutti e da Dio ho costruito il mio futuro, che detta così suona quasi come un ossimoro.

 

PERCHE' NON POSSIAMO NON ESSERE ATTUALI, NEANCHE SCRIVENDO MEMORIE di Gaetano Savatteri

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Insomma, dice Giandomenico Vivacqua, “la nostra battaglia è la memoria. Lasciamo ai trentenni, tanto spesso invocati nelle nostre riunioni, la libertà di fare e di non fare, di avere successo e di fallire. Tutto quello che possiamo per loro sono i nostri ricordi e la serietà, non disgiunta dalla pietà, con cui dobbiamo raccontare le nostre storie”.

La memoria e la resa, dunque. Feci quod potui, faciant meliora potentes. E, secondo Vivacqua, i “potentes” non devono avere più di trent’anni. Tutto il resto è noia, amarcord, nostalgia, rimpianto o rimorso. Fallimento o successo. Storie da consegnare alle generazioni future. E quindi basta farsi cavie dei propri figli per assolvere il compito a noi affidato dalla Storia o dal Caos.

Qualcosa non mi torna. Anzi, molte cose non tornano. Il discorso di Vivacqua prende mossa dall’ispirazione – immedesimazione? – tra Giandomenico e Frédéric Moreau, il protagonista dell’Educazione sentimentale di Flaubert. Dopo aver cercato successo e fortuna a Parigi, Moreau ritorna nella sua sonnacchiosa provincia dove ritrova la donna che ventisette anni prima aveva vagheggiato, ma l’occasione mancata ormai è mancata per sempre. In pratica: la donna è vecchia, Frédéric è vecchio, le illusioni perdute per sempre.

 

PERIFERIE. AGRIGENTO CITTA' 'STRAVACCATA' CON UN CENTRO PERIFERICO di Gaetano Gucciardo

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Agrigento è una città con una estensione geografica enorme anzi abnorme rispetto alla sua popolazione. Gli americani lo chiamano sprawl, come dire “stravaccato”. È un tratto comune a tutte le espansioni urbane dopo l’avvento dell’automobile. Quando le città e i sobborghi si addensavano secondo il passo del pedone conservavano anche una identità fisica. E l’hanno conservata anche quando è stata introdotta la mobilità pubblica su rotaia. Le città e i sobborghi avevano confini chiari. L’automobile ha rotto questi vincoli e le città si sono smarginate, “stravaccate” sul territorio.

Anche Agrigento ha conosciuto questo processo reso ancora più complicato dai vincoli derivanti dalla Valle dei templi. La città ha conosciuto una espansione profondamente e sostanzialmente abusiva. E laddove invece l’espansione è stata pianificata la qualità urbanistica è rimasta latitante. Sono stati costruiti sobborghi con una manifesta finalità di dormitori. Non una piazza, non una villa.

La suburbanizzazione di Agrigento è così marcata da collocare la città ai vertici nazionali nella graduatoria dei residenti nei sobborghi. Ben il 41% dei residenti, secondo l’ultimo dato di censimento disponibile (quello del 2001 – ma non c’è motivo di pensare che le cose siano cambiate), vive fuori dal centro urbano mentre la media nazionale è di poco superiore al 10%. Solo tre città in Italia hanno percentuali più alte: Venezia con il 78,7%, Ravenna con il 45,8%, Vibo Valentia con il 43,5%.

 

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